La Bagheria delineata in questo testo è quella di un paese che vive, subito dopo la scomparsa del sistema feudale, una deriva criminale, la stessa che colpisce le zone di Palermo in cui i nuovi borghesi sono protagonisti di un rapido sviluppo economico del territorio.
È emerso un quadro complesso in cui i vari soggetti, dai delinquenti ai funzionari pubblici, si muovono all’interno di un sistema retto da una complicità interclassista, facilitata dall’incapacità borbonica di garantire l’ordine pubblico.
Le carte burocratiche e giudiziarie, solo apparentemente asettiche, hanno consentito di connettere tra loro, senza le distorsioni della retorica risorgimentale e del revisionismo borbonico, misfatti e personaggi del territorio, in un percorso non rigidamente cronologico che copre circa un trentennio. Un arco temporale breve, ma ricco di grandi eventi, perché tali sono le insurrezioni antiborboniche.
Durante questo periodo, alcuni personaggi s’impongono, assumendo il ruolo di protagonisti: l’ambiguo Principe della Cattolica e un sedicente monaco, Salvatore Errante, a capo d’una banda di duecento masnadieri, nella rivolta indipendentista del 1820-21; un brigante imprendibile, Giovan Battista Scordato, e un corrotto giudice di Circondario, Nicolò Crisafulli, nei primi anni Quaranta; Giuseppe Scordato, fratello del fuorbandito, eroe e voltagabbana e il notaio-sindaco di lungo corso, Gesualdo Pittalà, a cavallo della rivoluzione del Quarantotto.
Il filo conduttore del periodo ricostruito riconduce alla violenza per contrapposti interessi, sullo sfondo della povertà dei contadini e della lotta per il controllo del territorio. Una pratica che non risparmiava nessuno, perché la repressione borbonica era altrettanto dura, caratterizzata dall’utilizzo di magistrature militari e speciali e da un frequente ricorso a pene detentive severissime e alla fucilazione.
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