isbn: 978-88-89876-55-8
pp. 56
Formato cm. 21,2 x 24,1
Progetto e coordinamento di Associazione "Quelli di Pittalà" Centro creativo e culturale (di Adalberto Catanzaro e Roberto Prestigiacomo).
Sontuosa e razionale, barocca e minimalista, classica e anticlassica: proseguendo e rinnovando una tradizione millenaria di pensiero e di creazione, la pittura di Arrigo Musti si declina attraverso la logica paradossale dell'ossimoro e dell'unione dei contrari, con quel dono di rivelazione e di magnificenza che solo la Sicilia ha il potere di donare e di distillare grazie a una storia che affonda le sue radici nei millenni e nelle origini di una cultura allargata dal Mediterraneo a tutta l'Europa. Arrigo Musti, siciliano di Bagheria, è un artista che non nega il contatto con la sua terra d'origine, ma si immerge negli archetipi vitali di un luogo di cui sente la radiante potenza e su cui ha scelto di fondare le basi teoriche e visuali del suo sistema pittorico. L'ulteriore, affascinante, paradosso di Musti è la sua capacità di evocare una sorta di archeologia della ininterrotta presenza delle arti in Sicilia, senza però cadere in rievocazioni solo legate al passato e volutamente distanti dalle questioni del nostro presente in senso linguistico, comunicativo e stilistico. Musti riesce infatti a dialogare con la storia e con la grandiosità delle straordinarie esperienze artistiche che si sono avvicendate in Sicilia nel corso dei millenni attraverso una visione del tutto contemporanea che non dimentica alcune delle maggiori esperienze di avanguardia del novecento. L'opera di Arrigo Musti si colloca infatti in modo personale e indipende nel contesto attuale, mescolando in modo sapiente i richiami alla storia dell'arte a questioni stringenti e di grande attualità, come la difesa del patrimonio culturale, della memoria storica, del paesaggio e dell'ambiente. Nel suo ciclo più recente, Drops del 2013, Musti, come è accaduto ai suoi grandi predecessori che hanno compiuto la scelta "sublime" della riduzione, è passato da una pittura ribollente di fermenti cromatici, in una densità pulsante e di stesure che fremono sul supporto in una decisa accensione di contrasti, a una materia lieve e monocroma, composta da un passaggio di spatola appena accennato che, grazie anche a una rigorosa e mirata scelta del supporto, crea un rilievo sottile o denso ad appena abbozzato sulla tela liscia priva delle rugosità di alcune opere precedenti. Questi lavori possono paradossalmente rappresentare una sintesi che parte dalle immagini dei capolavori classici citate nei quadri, che formano una sorta di radice archetipa dell'arte in Sicilia, per inserirsi in una linea sospesa tra ornamento e rigore che potrebbe unire il nitore assoluto delle decorazioni di Giacomo Serpotta alla tendenza a superare il disordine e la libertà espressiva che può legare l'opera di Antonio Canova a quella di Lucio Fontana, nella dialettica tra il fermento originario della materia e la sua sublimazione nel territorio idealizzato dell'immaterialità.
Da "Tra la luce e l'oblio" di Lorenzo Canova.