Collana "Scienze Mediche" BioStoria
isbn: 978-88-89876-39-8
pp. 316
Formato cm. 14,2 x 21,1
L'epidemia che colpì la città di Palermo nel 1575, descritta dall'Ingrassia, sarebbe arrivata in Sicilia (forse a Siracusa) con una nave proveniente dall'Egitto che, dopo aver attraccato in altri porti siciliani, avrebbe raggiunto Palermo città in cui, secondo G. E. Di Blasi, il capitano dell'imbarcazione lasciò ad una prostituta maltese diverse "robe di lana", fonte del contagio. Il Di Blasi afferma «che le provvidenze date mercè i suggerimenti del medico Ingrassia, la salvarono [la città] e i morti non giunsero a mille», mentre da altre fonti si stimarono ben oltre 3000 morti. Quella denunciata dal Di Blasi, è verosimilmente, una sottostima anche in rapporto ad altre informazioni sull'epidemia, senza dimenticare che le risorse terapeutiche erano poco valide e consistevano in pratiche con intento purgativo. Comunque il grande successo dell'intervento sanitario dell'Ingrassia si consolida nella prevenzione ("barreggiamento"), vale a dire in tutte quelle misure atte a ridurre il contagio, in quelle insindacabili decisioni d'intervenire su quanti non eseguivano le direttive del protomedicato dov'era considerata anche, in maniera brutale ma necessaria, l'applicazione della "forca". Ma si assistette, altresì, alla profonda disponibilità dell'Ingrassia a rivolgere attenzioni e amorevolezza verso quel volgo disperato e piagato, consegnando, senza cedimenti sulle regole, tanta umana comprensione. Così l'appellativo di 'don Filippetto' traduce il senso di rispetto che il medico seppe conquistarsi dalla popolazione afflitta dal morbo. E ci pare giusto, in quest'opera riconsegnata alla lettura nella edizione dell'Accademia delle Scienze Mediche e "Plumelia", indicare come principale obiettivo la semplice fruizione. Un invito alla classe medica (ma non soltanto) per una lettura la quale, pur sempre difficoltosa, vuol essere sganciata da eccessi storico-didattici e filologici, allo scopo di sollecitarne, fin quanto possibile, una conoscenza di base. Conoscenza di quel tempo, di quell'uomo, di quello scienziato che Argisto Giuffredi, poeta e sodale di Antonio Veneziano, ebbe a dire del suo operato: «per lui diciam, che dopo Dio siam salvi»; una salvezza che, con Pietro Parisi, Fortunato Fedeli, Marco Antonio Alaymo, Alfonso Borelli si produsse, di certo, nella coscienza terapeutica, scientifica e politica degli anni futuri.
Dalla Premessa.