Collana "Umane scienze"
isbn: 978-88-89876-23-7
pp. 86
Formato cm. 10,5 x 18
A cura di Aldo Gerbino e Giovanni Zummo.
Francesco Randacio, (Cagliari 1821 - Palermo 1903), giunge a Palermo nel 1862 per ricroprire la cattedra di Anatomia. Fu incaricato di Anatomia Microscopica, Anatomia Topografica (dal 1868 al 1889) ed Embriologia. Preside della Facoltà Medica dal 1884 al 1885, ottenne uno stanziamento di 98.500 lire dal Ministero della Pubblica Istruzione, che gli consentì di far costruire, sui bastioni della Concezione, un nuovo Istituto Anatomico con Anatomia Patologica, inaugurato il 27 ottobre 1884. Innovatore della formazione scientifica ed efficace didatta, allestì un museo anatomico arricchito (così ci consegnano le cronache dell’Accademia delle Scienze mediche) da modelli in cera firmati dalla scuola d’abili e noti ceroplasti (dallo Zumbo al Ferrini, al Graffeo). Le sue ricerche furono soprattutto rivolte al Sistema cardiovascolare e alla osteologia.
Rivisitazione e misura del corpo, potrebbe essere definito questo asettico registro di Osservazioni anatomiche, sospeso tra i primissimi anni post-unitari (1864) e gli inizi del XX secolo, investito dall’alternanza dei governi crispini e giolittiani, e costantemente siglato dalla presenza di Francesco Randacio, la cui firma si offre, con tenacia, fino al 9 febbraio del 1902. Appena un anno dopo, all’età di 72 anni, la morte lo strapperà, ai suoi interessi, ai suoi affetti: è, infatti, il 23 febbraio del 1903. Di certo fu un intellettuale rigido, pragmatico, chiaro nei toni (ciò abbondantemente testimoniato dalla raccolta epistolare d’ufficio, in cui emergono sollecitazioni e, spesso, aspre risoluzioni, decisioni che non indulgono a travisamenti; tanto affiora dal carteggio pubblicato ne Il carro dei poveri, dato alle stampe nel 2005): un uomo dotato di equilibrio, assorto, con professionale dedizione, nella sua mansione di curatore responsabile del Gabinetto anatomico dell’università palermitana. Il capoluogo siciliano contava, in quel tempo, oltre 250 mila anime; in esso lo ‘spazio’ dell’Accademia nella forma del Padiglione dedicato allo studio dell’Anatomia, da porre sui Bastioni d’Aragona a Porta Carini, all’ingresso del popoloso rione e mercato del Capo (nell’area storica della Concezione), fu voluto nel 1882, con spirito determinato, da Francesco Randacio, vero artefice della fondazione dell’Istituto, inaugurato due anni dopo, il 27 ottobre del 1884. Un anatomista proveniente dalla Sardegna: vi era nato, a Cagliari, il 31 dicembre del 1821; nella sua città natale aveva completato la formazione culturale e scientifica, svolgendo gli studi, prima presso i Padri Scolopi, ispirati agli insegnamenti di san Giuseppe Calasanzio, poi, conseguendo la laurea, nel 1848, in Medicina e Chirurgia. Raggiunge Torino, allora capitale del Regno di Sardegna, per seguire un corso di perfezionamento in “Discipline anatomiche”, risiedendovi per quattro anni e conseguendo, per concorso, il titolo di II Settore. Successivamente, da Settore a Cagliari, l’insegnamento a Sassari, e infine, nel 1862, è chiamato a ricoprire la cattedra di Anatomia a Palermo, subentrando a Giambattista Gallo il quale aveva dato continuità alla scuola gorgoniana, tramandando quegli insegnamenti travasati, dopo lo stesso Randacio, nelle figure di Francesco Todaro e Riccardo Versari (dal 1903 al 1914). La cultura anatomica all’inizio del XIX secolo, nel nascente ateneo panormita, dopo Giovanni Zangara (col suo insegnamento finalizzato, dal 1781 al 1801, esclusivamente alle lezioni di Anatomia teorica) e Salvatore Di Pasquale, scomparso agli inizi dell’Ottocento, si avvia verso una fase di declino culturale, che raggiunge il suo climax con Antonio Morici, destituito, durante i moti del 1822, con l’accusa di far parte della Carboneria. In seguito all’ingresso costruttivo ed efficace di Giovanni Gorgone, dal 1823 al 1847, e, dopo il breve transito di Nicolò Castellana (dal 1846 al 1850), la cattedra riprende consistenza, e si concreta, infatti, nel lavoro di Giambattista Gallo, il brillante allievo di Giovanni Gorgone, autore, ricorda Luigi Castaldi, di “pregevoli ricerche sui rami del ganglio sfenopalatino”. E se la ricerca scientifica avanza con rinnovati interessi, versati, ad esempio, sul quadro strutturale del testicolo o sulla stesura di un trattato di ‘Anatomia e Chirurgia’, dato alle fiamme, per sua volontà, prima della morte avvenuta nel 1862, l’assetto organizzativo ed edilizio, con Gallo, si presenta, di contro, estremamente precario, tanto da degradare la qualità stessa del messaggio didattico. Randacio raccoglie, nel 1862, tale controversa eredità, concentrando subito la sua attenzione critica sul piano della stabilità istituzionale della disciplina e della qualità formativa del portato pedagogico, criteri e parametri assiologici che stanno alla base della sua formazione maturata nell’alveo cattolico dei valori scolopici. La didattica, allora, acquista priorità assoluta; la sua articolazione politica in seno alla Facoltà, si traduce nella promessa di un finanziamento da parte dell’on. Bonghi, allora Ministro della Pubblica Istruzione, al fine di dar corpo ad un progetto edilizio (realizzato dall’ing. Greco), seguìto a Roma da una Commissione dello stesso Ateneo palermitano (composta da Randacio, Enrico Albanese, professore di Anatomia topografica dal 1858 al 1868, e dal prof. Federici), riuscendo ad ottenere, in tal modo, per Decreto Reale (sotto gli auspici del Segretario di Stato, on. Morana), la realizzazione del piano di lavoro, pur con una modifica: all’anatomia si dovrà accorpare l’anatomia patologica. Comunque l’Istituto è, ormai, una realtà tangibile; lo stanziamento di lire 98.500, consente di certo una rivoluzione qualitativa delle discipline morfologiche: dall’acquisto di strumentari fino al mantenimento d’una raccolta di cere anatomiche (che erano appartenute alla storica Accademia delle Scienze mediche); opere di ceroplastica destinate ad un vero e proprio museo didattico-scientifico (ormai disperso), nella tradizione alta di tale espressione creativa: dal magistero di Gaetano Giulio Zumbo (scomparso a Parigi nel 1701) al Ferrini, al Corti, al Graffeo. Il racconto delle ‘osservazioni anatomiche’ è tessuto dalla frequente, a volte quotidiana, pratica settoria, votata alla descrizione macroscopica dei comparti organici: dalla miologia alla angiologia, dal sistema nervoso centrale ai parenchimi ghiandolari e ai visceri, in una spesso rigida sottolineatura di valori biometrici avulsi (si esclude, ad esempio, l’osservazione del 4 febbraio 1879) dal rapporto forma-funzione. Soprattutto: anomalie vascolari, agenesie, disordini della tessitura muscolare e dita soprannumerarie, muscoli accessori, tentativi tassonomici d’inserire variabili al fitto albero della muscolatura volontaria (‘muscolo colli-trasverso’; osservazione del I febbraio 1866), aspetti dicogenetici nella mutevolezza di tessuti col variare delle condizioni ambientali e bioarchitettoniche, corredati da qualche schizzo a penna, in una catenaria di corpi approdati, per vari accidenti, al tavolo anatomico: soggetti compresi tra i 15 e i 99 anni, dei quali a volte si fanno emergere, per lo più involontariamente, rilievi d’interesse sociale, umano; tragedie che colpiscono famiglie povere, vessate da ataviche indigenze, e da cui affiorano, in filigrana, modestissimi livelli morali. Esistenze di fanciulli, uomini e donne (anemiche casalinghe, facchini, accattoni, artigiani), sostanziati in motivi umanissimi e dolenti, segnandoli, in maniera sporadica, con riferimenti anagrafici ben precisi, come il caso di Salvatore Ferrante di anni 24, dalla cui indagine settoria emerge l’assenza del corpo calloso e, ad una analisi complessiva, anamnestica e semeiotica, si rileva persino come questo “calzolaio savio ed integro nelle facoltà intellettuali”, arso d’amore, “rapì la sua bella colla quale conviveva, senza unirsi in matrimonio”, e in che modo questo giovane e sfortunato amante fosse privo dei “peli in barba” e con “genitali poco sviluppati” (18 marzo 1868). Altre anomalie e ‘ambiguità’ organogenetiche vengono riferite in due soggetti maschili che presentano un muscolo bulbocavernoso simulante un ‘costrittore della vagina’ (24 febbraio 1875 e 1876), oppure si narra di un soggetto di 65 anni, con “pochissimi peli sul mento”, riconosciuto, in vita, quale uomo “di pessima indole”, avvezzo a non si sa quanti “generi di delitti” (2 marzo 1882). Altre curiose note antropologiche raccontano della distribuzione dei peli nelle donne di Mistretta (l’indiscreto ‘delatore’ è il dott. Filì), o della ricchezza di baffi e barba, sempre in una donna (21 febbraio 1881), tanto da essere ‘più folti di un uomo di venti anni’; ovvero il singolare caso che descrive una ragazza di 16 anni dai “lineamenti virili e se vuolsi nulla affatto gentili”, e come apparisse, vien detto, con aspetto “di rozzo facchino dalla fronte bassa, dal cranio piccolo dolicocefalo con folti e lunghi capelli e faccia [con] prognata mascella inferiore molto grossa, bocca larga, labbra tumide, denti grossi, sopraciglia folte”, e, in aggiunta, con genitali “di fanciulla quasi impubere” (27 febbraio 1883). Infine, la triste storia famigliare di Giuseppe e Paola Salvaggio, abitanti nella contrada Pian del Cavaliere, i quali portano all’osservazione medica, per un caso di ipospadia, un loro figliolo dalla “voce femminile e vezzi graziosi” (20 agosto 1822). In questa famiglia, - trapela confusamente dal racconto della madre,- si era già verificato un gravissimo incidente: il fratellino del giovane paziente, anch’egli segnato da tali contegni, era deceduto per i maltrattamenti inferti dal padre, “uomo bestiale e dedito al furto” (nel suo cognome, ‘Salvaggio’, sembra anche allignare il nerbo della questione), in quanto non tollerava tale ‘mostruosità’. Storie di esistenze troncate, in brevi e lunghi archi temporali, e catalogate al tavolo settorio dal prof. Randacio e da suoi giovani collaboratori (medici e studenti universitari), nella biologica ricostruzione d’uno scenario in cui la società dogliosa si mostra con le sue tisi, le sue morti violente, le infezioni da traumi, le brutalità maturate in ambiente domestico, con i suoi perenni tabù sociali, pronta ad investire, drammaticamente, corpo e anima, non soltanto dei singoli individui, ma dell’interezza del tempo e della materia sociale, già inconsapevolmente schiusi al fragore crescente d’un Novecento tumultuoso e crudele, votato, come in un presagio della Yourcenar, ad un insinuante «inverno dei sentimenti».
Da "Misura del corpo" di Aldo Gerbino.